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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.07.2012 Boualem Sansal, lo scrittore algerino che non odia Israele
L'intervista di Stefano Montefiori

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 luglio 2012
Pagina: 13
Autore: Stefano Montefiori
Titolo: «Sansal 'Il vento antisemita gela le primavere arabe'»

Su LETTURA, il supplemento del sabato del CORRIERE della SERA, di oggi 29/07/2012, a pag. 13, con il titolo "Sansal 'Il vento antisemita gela le primavere arabe', Stefano Montefiori intervista lo scrittore algerino.

Boualem Sansal (nella foto sotto) è nato nel 1949 ad Algeri, dove tuttora vive. Laureato in ingegneria, ha iniziato a scrivere a cinquant'anni. Per i suoi libri critici sul fondamentalismo islamico è considerato uno «scrittore in esilio nel suo stesso Paese». «Il villaggio del tedesco» — sottoposto a censura in patria è il suo primo romanzo pubblicato in Italia (Einaudi, 2009).

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Boualem Sansal è uno scrittore arabo nato in Algeria, che scrive in francese e non odia Israele. Questo fa — ancora — notizia, come dimostra la vicenda del «Prix du Roman Arabe» che gli è stato conferito e poi ritirato.
Che cosa è successo, signor Boualem?
«La giuria del premio, presieduta da Hélène Carrère d'Encausse dell'Académie francese, quest'anno ha scelto il mio romanzo Rue Darwin. Gli ambasciatori dei Paesi arabi erano d'accordo. Poi ho osato fare un viaggio in Israele, ed è successa la fine del mondo».
Come mai è andato in Israele?
«Ho partecipato al Festival internazionale della letteratura di Gerusalemme, è stato un viaggio bellissimo, emozionante. Ho incontrato il mio amico David Grossman, ho visitato il Muro del Pianto. Ma i Paesi arabi non hanno gradito. Hamas ha espresso una dura condanna del mio comportamento, ho ricevuto minacce di morte, e gli ambasciatori arabi hanno deciso di revocare il premio». Che le è stato conferito lo stesso.
«I giurati hanno comunque organizzato una cerimonia di consegna nei locali del mio editore, Gallimard. Mancavano ancora i 15 mila euro previsti dallo statuto del Prix du Roman Arabe, ma a sorpresa si è fatto avanti un nuovo mecenate».
Lei lo conosce?
«No, per niente, è un mio lettore svizzero che vuole mantenere l'anonimato. Si è detto scandalizzato da quel che è successo e ha deciso di versare lui i 15 mila euro al posto dei Paesi arabi. Io ho devoluto la somma a un'associazione di medici palestinesi, israeliani e francesi che lavorano insieme per curare i bambini palestinesi».
La storia finisce qui?
«Per niente, mancano ancora le scuse, e i soldi, degli ambasciatori. E ridicolo, ricevo continuamente messaggi di sostegno, tutti parlano della vicenda e gli unici a restare in silenzio, un silenzio pieno di disprezzo e allo stesso tempo di imbarazzo, sono gli ambasciatori. Un collettivo di  scrittori sta lanciando un appello per chiedere le loro scuse e convincerli a dare i 15 mila euro, che andranno alla solita associazione»
Pochi giorni fa a Bruxelles anche i ministri degli Esteri francese Laurent Fabius e israeliano Avigdor Lieberman hanno parlato del suo caso.
«Credo che quel che mi sta capitando sia importante perché dimostra, purtroppo, che non molto è cambiato nella mentalità del mondo arabo».
Le primavere arabe hanno acceso la speranza, nelle piazze i soliti slogan contro Occidente, Israele e America non si sono sentiti. Possiamo dire che la società araba, di cui lei è espressione, anche in questo è migliore dei suoi governanti?
«Mi dispiace deluderla, non ne sono sicuro. È ancora troppo presto, ci vorranno decenni per recuperare. Nel mio Paese, l'Algeria, dal 5 luglio 1962 (il giorno dell'indipendenza dalla Francia, ndr) in poi, ha agito una propaganda fenomenale, quotidiana. Ogni santo giorno, in ogni luogo, a scuola, nei giornali, in tv, alla moschea, da so anni viene ripetuta la litania delle critiche all'ex potenza coloniale, all'America, ai sionisti. Fa parte della base ideologica del Paese. È come un pianeta che non riesce a sottrarsi all'attrazione del sole. Se provi a esprimere un'idea diversa, a casa è tuo fratello che ti accusa, al lavoro saranno i tuoi colleghi a denunciarti, per strada verrai aggredito dai passanti.
Con le primavere arabe non è cambiato nulla. La rabbia e gli slogan sono stati diretti contro Gheddafi, Mubarak, Ben Ali e non contro l'Occidente, ma solo per una questione di priorità. Il vecchio sistema di propaganda è già tornato all'opera. Guardi le reazioni al mio viaggio a Gerusalemme...».
A parte il governo algerino, che la censura da anni, a parte llamas e gli ambasciatori arabi, che cosa le hanno detto i suoi famigliari, gli amici?
«C'è una minoranza che la pensa come me, e cioè che siamo stufi di odio e di accuse reciproche, vogliamo la pace. Ma anche nel mio ambiente in tanti mi hanno criticato: non dovevo andare in Israele, oppure sì ma visitando prima la Palestina, oppure sì ma denunciando le azioni del governo israeliano. Non è il mio ruolo: sono uno scrittore, un intellettuale, e voglio essere libero di accettare tutti gli inviti, anche dei miei amici israeliani».
Lei insiste molto sull'opera della propaganda. Come mai ne è rimasto immune?
«Perché ho 63 anni e appartengono a una generazione particolare. In tanti della mia età sono sfuggiti al lavaggio del cervello, perché siamo nati quando ancora l'Algeria era francese e la potenza coloniale aveva deciso di concedere una serie di diritti. Mio padre analfabeta aveva solo la cultura araba, i giovani di oggi lo stesso; noi invece siamo il prodotto di una doppia cultura, araba e francese. Abbiamo studiato all'estero, parlato con tante persone, siamo capaci di sfumature. Dopo l'indipendenza in Algeria, e credo in gran parte del mondo arabo, la scuola ha funzionato come un centro di indottrinamento contro l'Occidente, la donna, la modernità, gli ebrei».
L'antisemitismo è ancora forte?
«Da sempre, e continua. La Shoah non esiste, non se ne parla: un discorso come quello del presidente Hollande al Vel d'Hiv (il velodromo dove gli ebrei francesi furono rinchiusi in vista della deportazione, ndr) da noi è inconcepibile. Capita che un algerino veda qualcosa su una tv straniera, e chieda informazioni all'imam della moschea. Nella maggior parte dei casi, si sentirà rispondere due cose: "Hitler avrebbe dovuto ucciderli tutti", oppure " l'Olocausto è una panzana inventata dal sionismo per invadere la Palestina". Non se ne esce». Dopo il viaggio a Gerusalemme lei ha ricevuto molte minacce. Ha paura?
«Sì, anche se è una paura che non mi paralizza. Il regime algerino non mi colpirà mai in patria, ma potrebbe organizzare qualcosa all'estero. Poi, mi fanno paura gli islamisti moderati. Gli integralisti islamici ormai sono stati sconfitti, ma i moderati, pur non ricorrendo al terrorismo, tengono discorsi non molto diversi. Mi additano come un traditore, e in giro è pieno di poveracci che potrebbero pensare di guadagnarsi il paradiso "uccidendo il traditore"».
Pensa di impegnarsi in politica?
«No, mai, non è il mio mestiere. In ottobre con Grossman organizzeremo a Strasburgo una grande conferenza internazionale di scrittori per la pace. È tutto quel che posso fare».

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